ARTE RUPESTRE PREISTORICA NEL SAHARA LIBICO



I rilievi dell’Acacus e i fiumi fossili del Messak, situati nella regione libica sahariana di sud-ovest del Fezzan verso il confine con l’Algeria, sono ormai noti anche al grande pubblico per l’enorme concentrazione di pitture e di incisioni rupestri che ne fanno una delle più belle e ricche gallerie d’arte preistorica esistenti al mondo, tanto da essere protetta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Gli esemplari della grande fauna selvatica, ora spariti da questa parte d’Africa per il profondo mutare delle condizioni climatiche, il mondo metafisico e sacrale degli uomini ritratti senza volto e con le teste rotonde e le mandrie di buoi al pascolo ci parlano di un’epoca assai lontana, quando il Sahara era verde. Osservando le condizioni climatiche e ambientali attuali risulta davvero difficile poter immaginare che in un tempo relativamente recente tali condizioni fossero tanto diverse da consentire la vita ad una fauna selvatica erbivora di grossa taglia, ad animali acquatici e ad una popolazione che traeva il proprio sostentamento prima dalla caccia, dalla pesca e dallo sfruttamento di piante spontanee, poi dall’allevamento di erbivori addomesticati e dalla coltivazione di piante seminate. E, soprattutto, pensare che in questi luoghi l’uomo sia riuscito a compiere una delle maggiori trasformazioni socio-economiche e culturali di tutta la sua lunghissima storia evolutiva, facendolo passare dalla preistoria alla storia. Eppure circa14-12 mila anni fa nel Sahara riprese a piovere, dopo un lungo periodo di siccità.  In quell’epoca il deserto era popolato da un’abbondante fauna tipicamente tropicale, oggi vivente in zone assai più meridionali, composta da elefanti, bufali, giraffe, rinoceronti, struzzi, ippopotami e coccodrilli, tanto per citare soltanto quelli di taglia maggiore, capaci di colpire la fantasia degli uomini cacciatori che li ritrassero magistralmente sulla pietra. L’alternarsi delle fasi secco-umido proseguì: l’ optimum climatico si registrò a partire dall’ 11.300, con un’interruzione di un millennio tra 7.800 e 6.500,  fino al 5.500 da oggi, quando iniziò un rapido aumento della siccità, con una accentuazione tra 4.000 e 3.500 anni fa, quando si stabilizzarono condizioni di aridità analoghe a quelle attuali.

Circa 10-12 mila anni fa gruppi di cacciatori negroidi provenienti da sud frequentarono i massicci dell’Acacus e del Messak a scopo di caccia.  Furono gli autori dei primi graffiti, raffiguranti i grandi esemplari della fauna selvaggia (fase artistica del Bubalus antiquus), ritratti con un vigoroso stile naturalistico. Gli stessi 9-8.000 anni or sono cominciarono a dipingere strane figure antropomorfe, dette “delle Teste rotonde”, tutte incentrate su grandi figure umane dalla testa rotonda ma prive degli elementi del viso. Si tratta delle immagini più enigmatiche di tutta l’arte sahariana. Il tema dominante è quello del sacro e del divino. Scarse le raffigurazioni di animali, ma è sicuramente il periodo in cui iniziano i primi tentativi di ammansimento di alcune specie faunistiche e di sfruttamento di talune piante selvatiche, nonché della nascita della prima ceramica. Queste compaiono in tutto il Sahara per due millenni e sono formate da figure monocromatiche rosse, composizioni policrome con animali selvatici di media taglia (antilopi e mufloni) e scene rituali di difficile lettura. Stilisticamente dimostrano un’incredibile modernità, in un universo permeato di aspetti simbolici che denotano una notevole ricchezza culturale. Con le società pastorali (VIII-IV millennio) si entra nel Neolitico vero e proprio, quando l’uomo – in presenza di un notevole sviluppo demografico – trae la maggior parte delle proprie risorse alimentari dall’agricoltura e dalla pastorizia. Gruppi etnici dal profilo mediterraneo si affacciano nel Sahara, dove si mescolano alle precedenti popolazioni negroidi. L’arte bovidiana, la più abbondante e diffusa capillarmente per tremila anni con pitture e incisioni, attesta un nuovo movimento culturale di stupefacente ricchezza espressiva e di potenza artistica, un’arte narrativa che pone il bestiame (bovini pezzati, pecore e capre) al centro dell’universo e ritratti con notevole accuratezza, quasi divinizzati. Funzioni, comportamenti e attività umane sono illustrati con ampi dettagli, indice di una tecnica notevole e consolidata, così come i caratteri somatici, le acconciature e gli abiti.  Con la comparsa del cavallo (1500 a.C.) e del dromedario (epoca cristiana) si esce dalla preistoria per entrare nella storia. La desertificazione da tempo avanza implacabile, il Sahara si spopola, l’economia impoverisce e l’arte fa altrettanto: diventa schematica, scadente e monocroma, con la figura umana ridotta ad un doppio triangolo a forma di clessidra e un semplice bastoncino al posto della testa, in totale assenza di proporzioni. Dopo 10 mila anni la grande epopea culturale e artistica dell’uomo nel Sahara termina, per colpa del clima che lo rende invivibile: alcuni rimarranno, e sono i Garamanti predecessori degli attuali tuareg, che riusciranno a trarre sussistenza dalle oasi e dal commercio transahariano, altri migreranno in direzione sud con le loro mandrie di bovini verso la meno arida area saheliana,  altri infine trasmigrano nell’ultimo tratto di deserto in grado di offrire ancora condizioni ambientali accettabili, la valle del Nilo, dove contribuiranno allo sviluppo della grande civiltà faraonica, portatori delle loro acquisizioni culturali come i prodromi della scrittura geroglifica e l’imbalsamazione dei defunti.

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